Sono partita straniera, bianca, “ricca”, istruita, civilizzata.. Colma dei migliori propositi, sì, ma con la superbia e l’arroganza (inconsce) del classico occidentale medio.
L’unica cosa da fare: lasciarsi sconvolgere.
Ho imparato molto più di quanto mi aspettassi, ho ricevuto molto più di quanto credo di esser riuscita a dare.
Il Madagascar non lo dimentico, gli cchi dei pazienti non li dimentico, l’amicizia e gli insegnamenti e dei miei compagni non li dimentico, la solidarietà (quella vera) non la dimentico, la gioia con cui ho vissuto questi giorni della mia vita non la dimentico.
Morire di patologie anche banali perché non si hanno i soldi per pagare le spese mediche o perché nel proprio paese non ci sono possibilità di cura ESISTE. Elemosinare un pugno di riso per sfamarsi ESISTE. Vivere in condizioni igieniche inesistenti, in piccole capanne affollate da più famiglie, da galline, pecore e zebù, senza bagno, senza elettricità, senza acqua, senza gas ESISTE. Nascere, vivere e morire senza nessuna prospettiva, aspirazione o possibilità ESISTE.
Perché vi dico questo? Perché la sento come un’enorme responsabilità personale. Perché mi piacerebbe che tutti vivessero e sentissero quello che ho provato io, perché il Terzo Mondo non è un pianeta lontano ma è a poche ore di volo dai nostri frigoriferi pieni.
Credo ci sia un unico requisito fondamentale per chiunque voglia partire per un’esperienza del genere: avere un grande cuore, perché sappiate che una parte di questo non la riporterete mai indietro.
Grazie a Life for Madagascar onlus e alle persone che hanno condiviso con me (da vicino ma anche da lontano) tutto questo.
Veluma Nosy Be